In un precedente articolo abbiamo trattato degli scanner, facendo riferimento a device di uso generico per l’acquisizione di originali analogici, trasparenti od opachi, professionali o anche amatoriali. In una fotolito – o nel reparto fotolito di un’azienda grafica – è possibile trovare un diverso tipo di scanner, specializzato nella produzione diretta delle pellicole di selezione dei colori per processi di stampa, ad esempio, offset o rotocalcografici. Questo tipo di dispositivi, introdotti commercialmente nel settore delle arti grafiche negli anni ’50 del ‘900, hanno gradualmente sostituito i vecchi procedimenti fotomeccanici, per altro ancora in uso fino agli anni ’80. Essi utilizzano una tecnologia basata su tubi fotomoltiplicatori (PMT = photomultipliers tubes) per scansionare l’originale collocato su un cilindro di plexiglass trasparente. Una unità di acquisizione – formata da un obiettivo per microscopio e di un una sorgente luminosa molto intensa – esplora l’originale – posto in rotazione sul tamburo cilindrico – campionandone ogni porzione. I dati analogici relativi al Rosso, al Verde e al Blu ricavati dall’originale (l’immagine), sono inviati ad un convertitore AD (analogico/digitale) che provvede a trasformarli in informazioni digitali (picture elements = pixel).
Gli scanner per la selezione dei colori, adottano questa tecnologia, ma il loro prodotto non è un file digitale (pixel), bensì una pellicola sulla quale l’immagine può essere a tono continuo (come una normale pellicola fotografica) o presentare una retinatura (pellicola di selezione dei colori). Questi dispositivi, in altre parole, sono in grado di generare l’immagine sotto forma di un raster di punti generati elettronicamente. Nelle pagine in basso, ricavate da una vecchia pubblicazione della Kodak, abbiamo una descrizione precisa degli aspetti salienti relativi al procedimento di acquisizione e al prodotto finito di tale processo (la pellicola di selezione).

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