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Scrittura epigrafica romana

Scrittura epigrafica romana

MAIUSCOLE E MINUSCOLE

Le due forme fondamentali dell’attuale alfabeto latino (maiuscolo e minuscolo) derivano da due modelli lontani nel tempo tra di loro. Il maiuscolo ha come modello la capitalis romana, il cui modello più perfetto era considerato essere l’iscrizione alla base della colonna di Traiano (114 d.C.). Nel Cinquecento numerosi calligrafi si cimentarono nell’impresa di fissarne il canone geometrico, senza mai ottenere un risultato perfetto. Il minuscolo deriva invece dalla scrittura umanistica neocarolingia, nata a Firenze nella prima metà del Quattrocento. Essa a sua volta derivava dai più anitichi testi latini classici che gli umanisti andavano riscoprendo, scritti con la minuscola carolingia elaborata alla corte di Carlo Magno. La scrittura neocarolingia era usata principalmente per i libri manoscritti; era anche usata una scrittura corrente (corsiva) da cui deriva il nostro attuale corsivo.

Scrittura minuscola onciale latina

Scrittura minuscola onciale latina

L’utilizzo contemporaneo di maiuscole e minuscole si era già sviluppato fra il IV e il IX secolo d.C. Infatti in precedenza i due stili avevano usi completamente separati, anche in base al supporto utilizzato. Da un certo punto in poi, le due serie di caratteri vengono accoppiate con funzioni diverse negli stessi manoscritti.

La distinzione fondamentale nell’ambito del disegno dei caratteri da stampa è la presenza o meno delle grazie. Essendo i primi caratteri romani ispirati alle iscrizioni lapidarie romane di epoca imperiale, di esse mantengono le cosiddette grazie, ovvero dei tratti ornamentali non distintivi posti alle terminazioni delle aste principali dei caratteri scolpiti. Se nelle iscrizioni lapidarie tali tratti avevano una precisa funzione (era l’unico modo di dare un disegno “chiuso” alle aste tracciate a colpi di scalpello), all’epoca della stampa tali tratti mantenevano una funzione esclusivamente grafica, pur mantenendo la forma triangolare e il raccoldo “dolce” con le aste tipici delle grazie “scalpellate”. In seguito la forma delle grazie varierà molto, assottigliandosi, e il raccordo diverrà ad angolo, tuttavia bisogna aspettare fino all’Ottocento per vedere caratteri totalmente privi di grazie, i cosiddetti bastoni. Tuttavia bisogna notare che in realtà i bastoni si rifanno a un modello ancora più antico rispetto a caratteri con grazie. Infatti le incisioni romane più antiche erano prive di grazie, analoghe quindi ai “moderni” caratteri bastoni.

LA PUNTEGGIATURA

Il primo segno di punteggiatura utilizzato è il punto, presente già nelle iscrizioni lapidarie romane per le abbreviazioni, e successivamente per separare i nomi propri (all’epoca non erano ancora comparsi gli spazi fra le parole). Sempre in epoca romana, il punto venne utilizzato per separare tutte le parole e per segnalare la fine di una frase. In epoca medievale compaiono anche altri segni, utilizzati tuttavia dagli scribi con parsimonia e con regole abbastanza variabili. Infatti era ancora utilizzato soprattutto il punto per le abbreviazioni. La ricchezza di congiunzioni del latino rendeva superflui la maggior parte dei segni di punteggiatura, e anche i grandi capolettera ad inizio periodo rendevano spesso superfluo il punto fermo.

Solo con la comparsa della stampa, alla fine del Medio Evo, vengono fissate delle regole standard nell’uso della punteggiatura. Si segnala in proposito, per la rigorosità dell’utilizzo di tali segni, Aldo Manuzio .

I NUMERI

Per quanto riguarda la scrittura dei numeri, la grossa novità è rappresentata dai cosiddetti numeri arabi. In realtà tali segni, nelle loro forme primitive, compaiono nell’India settentrionale nel II sec. a.C. e sono, come in altre culture, segni di lettere “riciclati” per esprimere i numeri (altrettanto si era fatto nelle culture greca e latina). Nel corso del primo millennio dopo Cristo, il sistema indiano di notazione dei numeri venne raffinato con l’introduzione dello zero e del sistema di conto decimale, estremamente utile per effettuare i calcoli, e questo portò al successo del sistema, che, attraverso la cultura araba e la Spagna, raggiunse l’Europa nel X secolo. A quell’epoca i segni per le dieci cifre erano già abbastanza simili a quelli attuali, e vennero ben presto stabilizzati dagli scribi nelle forme attuali. Quando sopraggiunge la stampa, le forme delle cifre sono già definite da secoli, e ogni incisore accompagna i propri alfabeti con una serie completa di cifre.

Quindi i numeri arabi, nella civiltà occidentale, rappresentano una doppia novità: il sistema di conteggio decimale, da un lato, e l’utilizzo di caratteri appositi per i numeri dall’altro. Il fatto che le cifre arabe non siano strettamente legate alla cultura occidentale ha permesso una loro facile estensione ad altre culture, abbinandole ad altri alfabeti diversi dal latino.

La Bibbia delle 42 linee di Gutenberg , come noto, era composta in caratteri gotici. Quando l’arte tipografica comincia a dilagare per l’Europa compaiono molto presto caratteri diversi. La prima tipografia in Italia, a Subiaco, impiantata da Arnold Pannartz e Conrad Sweynheym, usa già caratteri ispirati alla calligrafia umanistica, e da allora chiamati romani. A Venezia, ben presto centro della tipografia italiana, il francese Nicholas Jenson incide il prototipo dei caratteri oggi conosciuti come Garamond.

Uno dei primi grandi incisori di caratteri, il bolognese Francesco Grifo, lavora per il grande editore, Aldo Manuzio. Egli incide due memorabili serie di caratteri, per il De Aetna di Pietro Bembo (1495), e per l’Hypnerotomachia Poliphili (1499). Inoltre incide il primo carattere corsivo, ispirato alla variante “cancelleresca” della calligrafia corrente. Manuzio utilizza tale carattere per le edizioni tascabili, in quanto permetteva una maggiore compressione del testo. (L’uso del corsivo quindi inizialmente non era usato in coppia al tondo, ma in alternativa).

Successivamente il maggiore sviluppo della tipografia si ha nella Francia di Francesco I. Qui opera, soprattutto per la famiglia di stampatori parigini degli Estienne, Claude Garamond (1480-1561), il primo ad usare in coppia tondo e corsivo. I caratteri Garamond presenti oggi sul mercato, sono molto vari in quanto sino ad anni recenti non erano stati identificati i suoi punzoni originali (attualmente conservati nel museo Plantin-Moretus di Anversa), ed erano quindi disegnati ispirandosi a caratteri incisi successivamente da epigoni del maestro. Tutta la famiglia di caratteri ha alcune caratteristiche comuni:

* la lunghezza delle ascendenti e delle discendenti

* una certa spigolosità del raccordo tra i due occhi della “g”

* l’asimmetria delle grazie superiori della “T”

* l’occhio della “P” aperto

* l’assenza di grazie nelle lettere “C” ed “S”

* nel corsivo le maiuscole sono meno inclinate delle minuscole

Nel 1640 il cardinale Richelieu istituisce l’Imprimerie Royale. Luigi XIV, nel 1692, istituisce una commissione per lo studio di un carattere progettato secondo principi scientifici. Il carattere viene costruito su una griglia quadrata di 2304 moduli (48×48), venne inciso da Philippe Grandjean (a cui era stato affidato il compito di sviluppare la tipografia reale), ed è noto col nome di Romain du Roi. Ha queste caratteristiche:

* le grazie sono orizzontali;

* accentuato contrasto tra tratti spessi e sottili

* tutte le lettere sono considerate parte di un unico insieme

E’ il primo carattere ad essere svincolato dalla calligrafia, ed è antecedente dei caratteri moderni. E’ protetto da un severo divieto di riproduzione, ma viene presto copiato dai tipografi, con opportune modifiche. Pierre Simon Fournier (1721-1768) incide un suo carattere fortemente personalizzato, più flessibile e coordinato. Introduce molti fregi e decorazioni, molto usate nel successivo periodo della stampa. Fournier porta avanti gli studi della Imprimerie Royale per la definizione di u na misura precisa del corpo dei caratteri (il punto).

A stabilire definitivamente la misura del punto tipografico (almeno per l’Europa) è François Ambroise Didot (un punto è da allora pari a 1/6 di linea del “piede del re”, unità di misura pre-decimale, ed è quindi pari a 0,376 mm). Didot disegna anche un suo carattere caratterizzato dalla regolarità del tratto e dal definitivo abbandono dei residui dello stile dei calligrafi. 

Per tutto il Seicento la tipografia inglese fa uso di caratteri incisi in Olanda. L’evoluzione del gusto ha portato ad un accorciamento dei tratti ascendenti e discendenti, e a un aumento dei contrasti tra gli spessori. William Caslon (1692-1766) è il primo incisore che contrasta il monopolio olandese. I suoi caratteri rispecchiano il nuovo gusto calligrafico, ottenuto non più con la penna tagliata, ma con quella a punta, che permette segni più sottili e di inspessire il tratto indipendemente mente dall’inclinazione della penna e dalla direzione del ductus.

Il ponte tra i caratteri aldini e i “moderni” di Didot e Bodoni è John Barskerville (1706-1775), che opera a Birmingham. Maestro calligrafo e artigiano laccatore, a partire dal 1751 si dedica completamente all’arte tipografica. Ritenendo che caratteri, carta e inchiostro formino un insieme organico, si occupa personalmente della produzione della carta e dell’inchiostro, e anche della stampa, raggiungendo risultati di elevata qualità. Porta a compimento i suggerimenti di Caslon:

* i contrasti sono ulteriormente accentuati e i raccordi più eleganti

* le grazie superiori delle lettere b, d, k, l, i , j, m, n, p, sono quasi orizzontali

* la base della E si allarga

* gli spessori dei tratti non seguiono più gli andamenti prodotti dal pennino tagliato cinquecentesco

* vengono assunte le forme della calligrafia postfiamminga: la coda della Q a forma di falce, il cappio inferiore della g aperto

Le edizioni di Baskerville, chiare e senza la profusione di frontespizi incisi, capilettera e decorazioni floreali tipica dell’epoca, vengono apprezzate prima di tutto in Europa continentale, e solo dopo la sua morte anche in Inghilterra.

Decorazioni e spessore delle grazie. A partire dalla fine del Settecento le applicazioni della tipografia si moltiplicano: volantini, locandine, manifesti, giornali, pubblicità commerciale. L’uso di caratteri a corpi grandissimi (costruiti in legno) e di caratteri gotici per aumentare il nero sulla pagina non bastano più. Le direttrici di sviluppo di nuovi caratteri sono tre:
Caratteri iper decorati ottocenteschi e supercontrastati, usati spesso in composizioni patchwork di caratteri diversi fra loro;

Caratteri ultra-Bodoni, ovvero caratteri che esasperano il peso dei tratti e la sottigliezza delle grazie; l’estremizzazione di questa tendenza porta alla “comparsa” dei caratteri senza grazie, sembra per la prima volta fusi nella fonderia dei discendenti di Caslon nel 1816, Il Clarendon, disegnato dai discendenti di Caslon nel 1843; Rockwell, della Monotype, 1933;

Gli Egiziani, ovvero caratteri che esasperano lo spessore delle grazie rispetto a quello delle aste, portandole ad essere altrettanto se non più spesse; essi sono di due tipi, con grazie raccordate (ad es. il Clarendon, 1843) e con grazie non raccordate (ad es. il Rockwell, 1933).

Giambattista Bodoni, lavora dapprima a Roma per riordinare il patrimonio tipografico della stamperia vaticana; nel 1766 viene chiamato a Parma da Ferdinando di Borbone, per cui impianta la stamperia di corte. Sceglie di utilizzare i caratteri di Fournier. Muore nel 1813, dopo una vita ricca di onorificenze. Nel 1818 la vedova e l’assistente Luigi Orsi pubblicano postumo il monumentale Manuale Tipografico. I caratteri incisi dal Bodoni ben presto si discostano dalle forme del Fournier, abbandonando le decorazioni eccessive. I caratteri bodoniani sono così caratterizzati:

* contrasto accentuato e struttura verticale ben inquadrata

* assotigliamento e orizzontalità delle grazie.

Negli Stati Uniti c’è uno sviluppo parallelo del disegno dei caratteri a partire dai cosiddetti Scotch Roman, derivanti dai caratteri disegnati da Richard Austin per la fonderia Miller di Edimburgo (1812). Linn Boyd Benton, l’inventore della macchina per la produzione in serie dei punzoni, si ispira a questa famiglia di caratteri per incidere il carattere Century, usato per l’omonima rivista, nel 1895. Migliora la leggibilità dei caratteri scozzesi, mantenendone alcune inconfondibili caratteristiche, fra cui la forma a ricciolo della zampa della lettera “R”. Il figlio di Benton, Morris Fuller, progetta, pochi anni dopo, la versione bold del Century, primo caso di disegno coordinato di questo tipo. M. F. Benton progetta anche una coppia di caratteri senza grazie, il Franklin Gothic e il News Gothic.

Nell’ambito della nascita delle arti applicate, che si propongono di ridare dignità alle lavorazioni artigianali, nasce la prima private press, creata da William Morris nel 1891. Un suo allievo, Edward Johnston (1872-1944), si dedica interamente alla calligrafia e scrive un manuale, Writing & Illuminating & Lettering, che ebbe grande influenza sia in Inghilterra che in Germania. Su commissione di Frank Pick, che si occupò del completo ridisegno dell’immagine della metropolitana di Londra, Johnston disegna, nel 1916, un carattere senza grazie tuttora in uso per tutta la comunicazione dell’Underground di Londra.

Stanley Morison, consulente della Monotype per la ristrutturazione del suo parco caratteri dal 1922, promuove in quegli anni la realizzazione di caratteri disegnati a partire da prestigiosi modelli:

* il Bembo, sul modello del De Aetna di Pietro Bembo, pubblicato da Manuzio nel 1495

* il Poliphilus, sul modello dell’Hypnerotomachia del 1499

* un Baskerville basato su un’edizione del 1722 e un Fournier

A questo punto ritiene che sia il momento di tentare l’incisione di un alfabeto moderno, e la affida a Eric Gill, incisore su pietra e allievo di Edward Johnston. Egli disegna il Perpetua (tra il 1925 e il 1928), con grazie, e contemporaneamente il Gill Sans (prodotto dal 1927), che ha il portamento di un carattere con grazie pur essendone privo:

* simile al Perpetua per alcune lettere (la zampa della R, le lettere a, b, e, r, t)

* la “g” ha il doppio occhio classico, inusuale nei senza grazie

Stanley Morison fu anche l’autore del Times New Roman. Nel 1929 venne incaricato dal Times di progettare un carattere per la composizione dell’intero giornale. Dopo vari tentativi Morison prese a modello il Plantin, carattere prodotto dalla Monotype sulla base dei punzoni di Garamond conservati presso il Museo Plantin-Moretus. Il 3 ottobre del 1932 uscì il primo numero composto con il nuovo carattere, così caratterizzato:

* la base cinquecentesca è quasi impercettibile

* le lettere sono più piene, i tratti ascendenti e discendenti più corti, lo spessore più marcato

* le grazie sono più regolari e uniformi

* è molto leggibile in corpi piccoli.

L’avanguardia razionalista degli anni Venti si propone di ridurre le forme ai loro costituenti elementari. L’operazione oltre che all’architetturea e al design viene applicata alla tipografia. Mentre si ottengono lavori notevoli nel campo dell’impaginazione, non altrettanto succede per il disegno dei caratteri. Il ridurre l’alfabeto in gabbie di pura combinazione di oggetti geometrici elementari dà risultati applicabili solamente per titolazioni, non per testi completi. L’esito più noto di queste ricerche è l’Universal-Alfabet di Herbert Bayer (1925).

Il principale carattere proventiente dall’ambito del Bauhaus è il Futura di Paul Renner (1927), che aveva legami abbastanza laschi con il movimento. I problemi principali si hanno con le minuscole: la prima versione, più marcatamente costruttivista, di alcune lettere (a, g, m, n, r), deve essere ridisegnata per migliorarne la leggibilità. Quello che permette al carattere di avere un grande successo è una certa dose di compromesso rispetto ai precetti costruttivisti:

* le lettere maiuscole hanno una perfetta modularità geometrica (lettera “O” perfettamente circolare, spessore dei tratti costante, combinazione di poche forme geometriche di base

* nelle minuscole lo spessore dei tratti curvi si assottiglia nel raccordo con i tratti dritti, per evitare inspessimenti percettivi

* aggiustamenti percettivi nel rapporto tra lettere tonde e dritte (ad es. la “o” è più alta rispetto al tratto della “i”)

L’epoca moderna del disegno dei caratteri ha come peculiarità il repêchage all’interno dell’intera tradizione tipografica e calligrafica. All’interno di questa tendenza si colloca l’Optima (1955) di Hermann Zapf; calligrafo e incisore di caratteri di successo, si ispira per questo carattere senza grazie alle iscrizioni su pietra della Firenze della prima metà del Quattrocento. Il carattere, decisamente originale, sfugge alle tassonomie tradizionali:

* la struttura delle lettere è classica

* è senza grazie ma sembra averle: l’effetto è raggiunto rastremando i punti mediani dei tratti

Il carattere per eccellenza degli anni Sessanta è invece l’Helvetica (1957) di Max Miedinger, ridisegno di un carattere di fine Ottocento della fonderia Berthold, associato indissolubilmente al design e alla grafica italiana. Il carattere, eccezionalmente neutro, compatto, adatto ad un uso formalista all’interno della pagina, si caratterizza così:

* riesuma la zampa a ricciolo della “R” tipico dei caratteri romani moderni

* le terminazioni delle lettere c, e, s, C, G, S sono quasi orizzontali

* la curva inferiore della g è appiattita

Nello stesso anno viene progettato dallo svizzero Adrian Frutiger l’Univers, che, nonostante l’enorme diffusione, non è mai diventato così tipico e caratterizzante come l’Helvetica è stato. La grande novità dell’Univers è quella di essere stato progettato, fin dall’inizio, in ventuno varianti esprimenti ogni gamma di inclinazione, larghezza, spessore dei tratti. In questo prefigura le attuali tecniche di progettazione per l’elettronica. Particolarmente riconoscibili, nell’Univers, i caratteri delle lettere G, Q, R, e dei numeri 1, 2, 5.

I giorni nostri. L’enorme patrimonio derivante dallo sviluppo plurisecolare di nuovi caratteri rende possibile una grande libertà di scelta fra caratteri diversi. A titolo indicativo, possiamo classificare i caratteri attualmente disponibili in queste famiglie:

1. bastoni, etruschi, grotteschi; non hanno terminazioni e le aste sono di spessore uniforme;

2. egiziani: le aste sono in genere di spessore uniforme e hanno terminazioni dello stesso spessore delle aste;

3. romani antichi; hanno aste con un principio di contrasto e le terminazioni sono trangolari raccordate con curve alle aste; l’asse delle lettere rotonde è obliquo;

4. romani moderni; le terminazioni sono orizzontali, di spessore molto sottile, uguale alle aste chiare, fortemente contrastate rispetto alle scure; l’asse delle lettere rotonde è verticale;

5. gotici e medievali;

6. inglesi e scritture; sviluppati dalle antiche scritture cancelleresche, hanno in genere un forte contrasto tra le aste;

7. fantasia; gruppo dei caratteri inclassificabili, molto diversi tra di loro.

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